La storia di questo ginepro inizia da lontano. Anzi no! Inizia dall’ “inizio”.
La mia definitiva passione per il bonsai nasce in un momento triste come la morte di mio padre (o meglio, del mio babbo, come si dice in Toscana).
Era il 1996 quando questo è accaduto. Ed era il 1997 quando ho deciso di piantare un piccolo ginepro sulla sua tomba. Allora un ginepro era un ginepro e basta. Non era minimamente importante la varietà. L’acquistai presso un vivaio a poche lire (non esisteva ancora l’euro) e lo piantai lasciandolo nel suo vaso nero da coltivazione.
Il piccolo ginepro è rimasto lì a fare compagnia al mio babbo per circa 22 anni, fino a che a giugno del 2019 non è arrivato il momento che i due fossero separati.
Con un attrezzo meccanico è stata rimossa la pianta, purtroppo sacrificando non poco l’apparato radicale.
Alla base del tronco esisteva ancora il vaso originario ormai incastrato nel nebari del futuro bonsai.
La priorità era ovviamente l’attecchimento. Le poche radici presenti erano quasi tutte legnose e la presenza di capillari era ridotta al minimo. Anche il periodo non era proprio ideale per un trapianto.
Dopo aver saldamente fissato la pianta al vaso e usato un substrato quasi interamente composto da pomice, decido di fare una potatura che alleggerisca la chioma, lasciando comunque zone vigorose e reattive. Sarebbe stato un errore accorciare indiscriminatamente tutto lasciando solo la vegetazione più arretrata ma anche più debole.
Non avendo radici, e quindi la capacità di idratare la vegetazione nel periodo di massimo stress idrico, decido di posizionare il ginepro in zona umida e ombreggiata dove più nebulizzazioni giornaliere potessero mantenere idratata la vegetazione.
Per circa un anno il ginepro non ha mostrato il benché minimo cenno di reazione, fino a che ad aprile 2020, delle puntine verdi cominciano a prendere forza. Era il segnale che cercavo. Il ginepro era attecchito!
La pianta che aveva vegliato su mio padre (o forse il contrario) avrebbe continuato la sua vita con me nel mio giardino. Un bell’anello di congiunzione tra me e Renzo (il mio babbo si chiamava cosi).
E sarà così che si chiamerà anche il ginepro.
E cosi, tra potature e concimazioni, arriviamo a maggio del 2023 all’indomani della manifestazione di Arcobonsai,
A pochi giorni dal concorso per istruttori tutto è pronto, ma le cose spesso prendono pieghe strane.
Passeggiando in giardino lo sguardo mi è caduto sulla pianta che non avrei mai pensato di lavorare in una manifestazione.
Vista la sua storia, ho sempre pensato di lavorarla da solo, nell’intimo silenzio del mio laboratorio.
Ma all’indomani di un importante cambiamento professionale ho sentito netto il bisogno di una pacca sulla spalla, di un consiglio paterno, di un conforto che solo un babbo può’ dare.
Ed è stato allora che, due giorni prima di partire, decido di lavorare una pianta diversa e scegliere questo ginepro.
Renzo (….entrambi) mi avrebbero sostenuto in questo particolare momento e benaugurato il mio prossimo futuro.
È la scelta giusta!
Sono sincero. Pianifico sempre molto nei dettagli ogni lavorazione o dimostrazione che faccio, ma in questo caso ho lasciato molto all’improvvisazione.
Ad accompagnarmi in questa lavorazione ci saranno Andrea e Gimmi, due amici con cui condivido molto di più del solo bonsai.
Il lavoro inizia con la potatura di alcuni rami bassi. Vengono potati anche i rami deboli, troppo lunghi o poco ramificati. Quando possibile cerco di fare sostituzioni di apice in modo da accorciare e semplificare la ramificazione.
Lascio sempre ampi monconi in modo da realizzare numerosi jin. Nelle prime lavorazioni fanno molto comodo perché sono punti in cui poter ancorare i tiranti. Siamo ancora in una fase prematura e qualche Jin in più non sono mai un problema ma una opportunità.
Molto tempo è dedicato al lavoro sul secco e in particolare alla scortecciata dei tanti rami secchi. Non mi soffermo molto su di loro. Una veloce sbucciature o uno strappo con la pinza saranno più che sufficienti per l’occasione. La loro selezione e rifinitura può essere rimandata a fine giornata (se avanza tempo) oppure alla prossima lavorazione.
La fase preparatoria si conclude con la consueta pulizia della vegetazione. La parte terminale dei rami è forte e vigorosa al contrario di quella più interna che risulta debole e filiforme. L’eliminazione di quest’ultima permette il passaggio di aria e luce, una più facile analisi progettuale e infine una legatura più semplice.
Per mantenere una certa pulizia uso spesso una tovaglietta in modo che tutti gli scarti di questa operazione siano facilmente eliminabili senza finire nel terreno. Senza volerlo mi accorgo di usare una tovaglia in tinta con la mia camicia. Anche lo stile ha la sua importanza! 🤣
La seconda parte del lavoro consiste nella filatura utilizzando filo di rame. Evito di usare diametri molto grossi dato che mi aiuterò con i tiranti per l’abbassamento dei rami.
Nelle prime lavorazioni non è importante la rifinitura dei palchi ma la strutturazione della ramificazione. Ecco perché do molta importanza ai diametri del filo che devono essere scelti per piegare con decisione il ramo fin dall’inizio. Un errore che vedo spesso è utilizzare diametri che sono in grado di lavorare solo sulla parte finale dei rami.
Adesso è il momento delle decisioni. La prima è quella del fronte. Per anni ho visto questo ginepro con un fronte diverso, dove le due vene vive creano una bella e grande curva, ma stavolta ho cambiato idea. Dopo un’attenta analisi, sceglierò il fronte opposto dove, pur sacrificando un po’ di movimento avrò un miglior nebari, una maggiore presenza di legno secco e una linea del tronco leggibile fino all’apice. Sono due soluzioni alternative entrambe interessanti.
E con la scelta del fronte si arriva alla fase finale del lavoro: la modellatura.
La prima cosa che faccio è una leggera inclinazione verso destra. In questo modo attengo una maggiore asimmetria e una chioma più compatta, grazie alla possibilità di accostare al tronco i rami di sinistra.
Quando si muovono i rami in questo periodo dobbiamo fare attenzione. Lo scorrimento linfatico provoca facilmente delle scollature soprattutto alle biforcazioni. Un po’ di attenzione e una corretta tecnica di filatura permettono di evitare danni.
Per evidenziare e separare i palchi bisogna pulire la vegetazione che cresce verso il basso mentre per dargli volume è importante alzare il verde finale
Purtroppo il lavoro finale risente della tipologia della vegetazione.
E a questo proposito apro una parentesi. Moltissime persone mi hanno chiesto la varietà di questo ginepro. Purtroppo non la conosco, trattandosi di un ginepro di vivaio acquistato più di venti anni fa.
Nel mio mestiere di istruttore cerco sempre di indirizzare la scelta verso varietà che permettono di ottenere risultati apprezzabili e di una certa qualità, scoraggiando quindi quelle varietà più problematiche.
Durante la lavorazione però una persona si è lungamente fermata ad osservare il mio lavoro semplicemente perché anche lui aveva un ginepro del genere. È in quel momento che ho pensato ad un aspetto importante delle dimostrazioni e del ruolo di noi istruttori.
Presentare una pianta dal costo iniziale molto contenuto e che ho preparato negli anni, lavorare una essenza minore o una varietà meno performante ci avvicina di più soprattutto a chi inizia a fare bonsai. Spesso, ed io per primo, ci confrontiamo con piante costose e difficili, molto lontane dalla realtà delle persone che fanno bonsai.
Ogni tanto è una grande soddisfazione lavorare piante di questo genere, perché ci riporta a un bonsai molto più semplice, dove l’importante è il lavoro e non il punto di arrivo.
Non dico che questa deve essere una regola, ma che ogni tanto fa bene ricordarci da dove siamo tutti partiti.
Tutto questo ha dato un senso in più alla mia dimostrazione.
Il ginepro alla fine rappresenta in pieno quello che era il mio progetto di massima. Una lavorazione che comunque lascia ampi spazi di interpretazione futura.
Ma aldilà della mera lavorazione, resta il sapore di una bella esperienza.
Con Gimmi e Andrea sono anni che ci conosciamo e che lavoriamo bonsai insieme. In alcuni momenti sembrava di essere da soli nel nostro laboratorio.
Una bella lavorazione….una bella giornata.
E stato bello stare insieme a Gimmi, Andrea e Renzo!
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