Dopo diversi anni di attesa è arrivato il momento della lavorazione di un ginepro formosana (comunemente conosciuto come ginepro Taiwanese) innestato con un ginepro chinensis var. itoigawa.
Il ginepro entra nella mia collezione nel 2006 dopo averlo ricevuto come premio alla mostra KOKORO-NO BONSAI TEN di Napoli.
Si tratta di una pianta con un bellissimo tronco fino a circa metà della sua altezza, per poi finire con un tratto cilindrico molto grosso. La vegetazione è forte ed è testimone della perfetta salute del bonsai.
Ecco il ginepro dai quattro lati:
Il tronco si presenta movimentato nel primo tratto e il nebari comprende un’appendice legnosa che rappresenta ciò che resta di una seconda pianta non più esistente.
Ogni pianta che entra nel mio giardino viene coltivata e preparata adeguatamente per almeno un anno prima di ogni lavorazione.
I primi mesi del 2008, in vista di un workshop, effettuo le operazioni preliminari: pulizia della corteccia e della vegetazione, evidenziazione delle parti secche e creazione di nuovi shari.
Il ginepro pronto per essere lavorato:
Particolare del legno secco e degli shari:
La decisione è drastica: tagliare tutta la parte superiore in modo da abbassare la pianta e eliminare la parte tubolare del tronco.
L’idea è quella di creare un bonsai compatto. A tale scopo viene rafiato il ramo principale e portato in basso con l’ausilio anche di un tirante.
Riguardo al tronco superiore viene reputato troppo lungo e tubolare. Decidiamo di non eliminarlo del tutto e dopo essere stato scortecciato, viene sezionato e piegato con il fuoco.
Il risultato finale:
Ecco le due facce del Taiwanese: la vegetazione a scaglie e la vegetazione ad ago.
La prima è la vegetazione tipica di questa varietà, mentre la seconda è la trasformazione che subisce la vegetazione in occasione di eventi stressanti. Una volta superata la fase di stress il fogliame ritorna a scaglie.
E’ una situazione che si presenta su tutti i ginepri, ma ci sono varietà che difficilmente virano ad aghi e altrettanto facilmente ritornano a squama (l’itoigawa è uno di questi). Il taiwanese invece è una varietà che vira facilmente ad ago e farla ritornare a scaglia richiede un pò di tempo. Nella fase di “ritorno” a scaglie la vegetazione si allunga perdendo centimetri preziosi.
Ecco la ragione per cui mi decido a percorrere la strada dell’innesto.
Ad agosto del 2009 pratico gli innesti per approssimazione (anche se preferisco farli a marzo/aprile). la varietà scelta è naturalmente l’itoigawa anche in virtù della sua facile reperibilità sul mercato.
Invece di usare tante piantine, normalmente ne uso una sola che possiede alcuni rami lunghi in modo da innestare in più punti e su diversi rami.
Unisco i due rametti con degli elastici da innesto, ricopro tutto con nastro isolante e sigillo con il cicatrizzante.
Gli innesti crescono e via via si saldano ai rami del taiwanese.
L’anno successivo, il 2010, rimuovo le protezioni scoprendo gli innesti attecchiti. Non è ancora il momento di tagliare l’innesto dalla pianta madre.
Nel 2011 i rami di itoigawa vengono definitivamente separati e lasciati crescere nella loro nuova “casa”. I rami del taiwanese vengono via via eliminati.
A gennaio del 2013 ne approfitto per fare una pulizia, mettendo in evidenza il ritiro di linfa che la pianta ha effettuato.
Due anni dopo gli innesti sono talmente cresciuti e consolidati che non si notano quasi più i punti di innesto.
Il ginepro è in ottima salute e mette in mostra il verde brillante tipico dell’itoigawa.
Sul fronte originario adesso non non c’è più vena viva che invece si muove delicata sull’altro lato.
Ad Agosto del 2015 decido di cominciare a lavorare il legno secco. Si comincia scartando con una sgorbia i fasci legnosi secchi e di color marrone fino al raggiungimento delle fibre verdi e umide del legno vivo.
Successivamente evidenzio il colore rosso del tronco con una spazzolina in ottone
Con la fessuratrice e la pinza vengono rimosse le fibre legnose creando cavità e movimenti nel legno. Il lavoro non deve essere eseguito tirando e strappando con forza ma staccando, allentando e sfibrando delicatamente le fibre, accompagnandole il più possibile nel loro naturale movimento. Amo particolarmente il lavoro con utensili manuali che mi danno la possibilità di scolpire il legno secco con una naturalità che nessun attrezzo elettrico potrebbe realizzare.
Viene infine eliminata l’appendice legnosa presente sul nebari.
Alcuni dettagli del lavoro sul legno secco.
Come altri bonsaisti, anche io faccio ricorso all’uso di un bruciatore per levigare il legno. Il fuoco fa in pochi minuti quello che gli agenti atmosferici, i funghi e i parassiti fanno nel corso degli anni.
In natura un legno secco comincia a decomporsi dalle sue fibre più esposte e fragili….così fa il fuoco, bruciando le parti legnose più morbide e lasciando quelle più compatte e dure.
Alla fine è sufficiente dare un colpo di spazzola in acciaio o in ottone per eliminare i residui.
A dicembre 2015 è arrivato il momento di fare la piega del ramo principale posizionandolo in modo da compattare la vegetazione.
Fronte / Retro
Il ramo ha una sezione di legna secca che decido di eliminare in modo da poter piegare il ramo il più possibile.La fessuratrice è l’attrezzo ideale per questa operazione: Affondando i suoi denti nel legno si crea una spaccatura che porta facilmente all’asportazione del secco.
Rifinisco poi con una pinza da jin rimuovendo le ultime fibre in eccesso.
Non arrivo comunque a togliere tutto il legno secco. preferisco lasciare una piccola lamina che mi faccia da ammortizzatore durante la piega.
Il segreto è quello di rendere uniforme l’elasticità del ramo. Se togliamo troppo legno in un punto si viene a creare una zona più debole delle altre. Nel momento in cui andremo a piegare sarà in questo punto che si scaricherà tutta la tensione rischiando di causare pericolose fratture. Se invece il ramo sarà indebolito uniformemente l’energia verrà scaricata in modo omogeneo su tutta la sua lunghezza.
E’ chiaro che può risultare difficile questo operazione. In questo caso le protezioni che andremo a fare (iuta, gomma, filo) avranno lo scopo sia di proteggere sia di rendere uniformemente elastico il ramo da piegare.
Per comprimere il ramo utilizzo una leva che mi permette non solo di effettuare la piega da solo ma anche quella di farla in modo progressivo e delicato. Lavorando con un attrezzo del genere ho sempre la possibilità di controllare ogni singolo spostamento del ramo.
Una volta arrivati in fondo alla piega, fisso tutto con un tirante.
Un attrezzo fantastico!!!
La piega finale. l’intento non era solo quello di compattare ma anche di creare un movimento che dia continuità al tronco
A marzo 2017 eseguo finalmente la prima vera modellatura della chioma.
Fronte / Retro
Lato Sinistro / Lato Destro
Tutto è pronto!!! La vegetazione è forte e vigorosa….io sono carico!…
…Ed in più ho due grandi amici ad aiutarmi nella filatura: Andrea e Gimmi.
Il lavoro scorre piacevolmente e in modo leggero ma senza mai perdere la concentrazione sul da farsi. Concentrazione che si trasforma in un sereno silenzio durante la modellatura.
Per non stressare la pianta abbiamo evitato la filatura dei rami più sottili. In questa lavorazione non è necessario ottenere un risultato troppo definito.
Durante la modellatura mi limito a creare i movimenti, le compressioni e il posizionamento dei rami primari e secondari. Ogni cosa a suo tempo!
Il risultato finale
Fronte / Retro
Lato Sinistro / Lato Destro
Particolari del tronco e della chioma
Come sempre i rami devono aprirsi per ricevere aria e luce. Così facendo i rametti (anche quelli più interni) cresceranno e saranno pronti per la prossima modellatura.
Foto di gruppo: Le facce sono soddisfatte…ma anche un pò stanche visto che si sono ormai fatte oltre le due del mattino!
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